di Andrea Ferrari
Capita di essere a Bruxelles al Forest National o Vorst Nationaal (Bruxelles è l’unica città belga davvero bilingue) per l’ultimo tour degli A-ha, a 25 anni esatti dal successo planetario del loro primo album “Hunting high and low”.
La venue, bruttina all’esterno dove appare come un vecchio centro commerciale-bowling, è invece sorprendente all’interno con una buona visuale ed una buona acustica da quasi tutti i punti essendo una via di mezzo tra Palatrussardi (ci siamo stufati dei suoi periodici cambiamenti di nome, citiamo il primo in omaggio agli Ottanta) e Rolling Stone, avendo una forma circolare che non ne sacrifica la capienza. Un compromesso ideale, secondo noi, per non finire tra l’incudine del club claustrofobico e il martello dello stadio.
Il repertorio della band è di primissimo livello e i tre, pur veleggiando attorno ai 50 anni, sembrano tutt’altro che imbolsiti suonando quasi 2 ore con 21 canzoni totali (più della metà prese dai loro primi 3 album degli 80’s) dando vita ad un concerto che ricompensa ampiamente il viaggio fatto. “Ending on a high note Tour” non è un nome cialtrone, i tre norvegesi chiudono davvero in bellezza.
Peccato che il pubblico italiano continuerà a subire l’embargo iniziato nell’88 quando fecero ben 10 (!) date nello Stivale. La motivazione ufficiale è che non ci sono promoter disposti ad ingaggiarli, a nostro modesto avviso c’è anche la frustrazione nel dover fare i conti con una casa discografica che da anni non li promuove minimamente sostenendo che non siano adatti al pubblico italiano. Un’opinione che non deve sorprendere se pensiamo agli ignorantoni che popolano quell’industria, neanche capace di cogliere il fatto che un gruppo di successo come i Coldplay abbia preso a piene mani dallo stile degli A-ha, non a caso il gruppo preferito da Chris Martin …
Per noi italiani però c’è stato un evento nell’evento a fine concerto, non dovendo fare lo slalom tra la moltitudine di bancarelle con magliette taroccate e venditori improvvisati di “ACQUEBBIRRA!!!” rigorosamente fianco a fianco di poliziotti, vigili ecc. che fan sempre finta di non vedere (la miserrima speranza è che prima o poi qualche Jimmy Ghione o Iena vada a chiedere il perché).
Le città del Belgio che abbiamo visto non ci son sembrate quel luogo tristissimo che molti descrivono (forse per la botta di fortuna nel godere di un sole quasi primaverile ad ottobre inoltrato), la percezione sulla qualità della vita ed il grado di civiltà è la stessa che si ha quando si capita nell’Europa più sviluppata ed anche la massiccia immigrazione pare esser stata gestita in modo migliore che da noi (anche grazie al background linguistico creato dalla colonizzazione), la sensazione di degrado (anche la sporcizia in giro ci è parsa meno sporca) e guerra tra poveri che aleggia in alcune zone delle nostre città non l’abbiamo mai avuta, tuttavia uno stato in cui le città cambiano magicamente nome nel giro di pochi chilometri senza alcuna traccia di scritte bilingui (con relative scene tragicomiche di turisti sui treni che non sanno più dove andare) è destinato a dividersi alla prima buriana della storia.
Andrea Ferrari, da Bruxelles
(in esclusiva per Indiscreto)
1 commento:
Sono anni che pontifico su queste pagine come il Belgio sia un gran bel posto dove vivere. E con me e ben prima di me Alec Cordolcini. Grazie Andrea!
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